Lo psicologo, questo sconosciuto.

Settembre, mese di nuovi inizi, e, sì, un po’ come gennaio, contenitore di tanti buoni propositi. Ma non sempre riusciamo a mettere in atto quello che vorremmo, o ci diciamo di dover fare.
Qualcuno si starà chiedendo cosa c’entri questo con lo psicologo. Ebbene, lo psicologo può “servire” anche alla realizzazione di quei progetti che abbiamo nella testa ma per qualche motivo non ci riesce veramente di intraprendere.
Come mai?
Perché uno degli obbiettivi del percorso con uno psicologo, che possibilmente sia anche uno psicoterapeuta, è poter prendere piena coscienza di cosa ci muove e ci ferma, di fare il punto della situazione, e se stiamo male, capire come mai e perché no, arrivare a fare tesoro di quanto ci fa stare male, come occasione per prendere in mano la propria vita e per la realizzazione piena di sé stessi.

Spesso (per fortuna non sempre), la reazione istintiva alla proposta di andare dallo psicologo, è di chiusura, e io stessa, nel proporlo talvolta a persone a me vicine, ho avuto la sensazione di dover andare in punta di piedi, quasi come ad aver paura di offendere.

Questo accade perché, al di là di quanto possiamo dirci circa il fatto che “i tempi sono cambiati”, o “al nord c’è una mentalità più aperta”, la figura dello psicologo ancora suscita tutta una serie di fantasmi, innescando lo stereotipo dello “strizzacervelli”, dei “matti”, o, per i più colti, del lettino su cui andare a sdraiarsi per innumerevoli volte a settimana, e innumerevoli anni.
La filmografia un po’ ha provato a smorzare i toni e ironizzare, per esempio umanizzando (per fortuna!) un tantino il ruolo di chi sta dall’altra parte, ma non basta.

 

Ho sempre pensato che una vera rivoluzione potrebbe farla un’educazione che preveda fin dai primi anni di scuola un’attenzione specifica sul tema, che aiuti a sensibilizzare gli animi, ad aprire le menti e far propria l’idea che, oltre che di razionalità, siamo fatti di emozioni e affetti, e che quando in quest’ambito qualche cosa non va, può accadere che non riusciamo a studiare, a lavorare, a trovare un fidanzato, a tollerare una perdita, a gestire l’arrivo di un figlio o sopportare il peso della vecchiaia, eccetera.

In un futuro non troppo lontano sarebbe auspicabile che andare dallo psicologo non sia più “l’ultima spiaggia”, ma possa venire spontaneo prendersi cura della propria psiche rivolgendosi ad un professionista, così come viene automatico andare dal dentista se ci fa male un dente, o dall’ortopedico se ci rompiamo un braccio.
In alcuni paesi del Nord Europa l’educazione precoce in questo senso esiste già, siamo fiduciosi che pian piano questo accada anche qui.

Nel frattempo ritengo importante fare delle semplici distinzioni e chiarezza nei termini, per rispondere a quelle domande che spesso mi sento fare, a testimonianza, una volta di più, di quanto sia sconosciuta la figura dello psicologo.

Psicologo, psichiatra, psicoterapeuta.

Psiche, dal greco “anima”, e in senso lato tutto ciò che riguarda quel dentro spesso invisibile, ma con ripercussioni anche sul fuori, come il corpo, i comportamenti, gli atteggiamenti, i rapporti interpersonali. La psicologia si occupa di percezione, memoria, apprendimento, identità, affettività e relazioni, e di molti altri ambiti affini. Pertanto, se pensate di aver bisogno di un supporto su tali ambiti o semplicemente migliorare la qualità della vostra vita, è allo psicologo che dovete rivolgervi e non ad un counselor, un pedagogista clinico, o ad un coach.

Lo psicologo ha una laurea in psicologia, e in quanto tale è dottore in Psicologia; tuttavia non è un medico, dunque non prescrive dei farmaci. Di ciò, quando occorre, si occupa lo psichiatra, che ha studiato medicina, specializzandosi poi in psichiatria. La sua formazione gli consente di avere un approccio soprattutto farmacologico ai sintomi.

La consulenza o consultazione è attività propria dello psicologo, e non del counselor, o figure simili, le quali hanno formazioni non regolamentate e non sono iscritte a nessun Albo professionale. Tra le competenze dello psicologo troviamo il sostegno, la diagnosi, la riabilitazione e attività di prevenzione rivolte al singolo e/o alla comunità. Lo psicologo, dunque, si occupa di benessere oltre che di sofferenza.

Veniamo adesso alla psicoterapia.

Lo psicologo può essere anche psicoterapeuta. Per esserlo, deve conseguire, dopo la laurea e l’Iscrizione all’Ordine degli psicologi, un diploma presso una Scuola di Specializzazione quadriennale riconosciuta dal MIUR. Tale formazione gli permette a tutti gli effetti di effettuare delle terapie, ossia dei percorsi di durata variabile che si pongono come finalità un cambiamento che duri nel tempo, una risoluzione dei sintomi e delle loro cause. Può essere psicoterapeuta anche lo psichiatra.

Dunque, se scegliete uno psicologo psicoterapeuta, sapete che egli ha conseguito la Laurea (di cinque anni) in Psicologia, ha superato un’abilitazione che gli consente di essere iscritto all’Ordine degli Psicologi della regione a cui appartiene, e infine ha frequentato per altri quattro anni un percorso formativo specialistico (che oltre agli aspetti teorici prevede quelli esperienziali), che gli ha fornito uno specifico approccio teorico nel metodo di lavoro. Insomma, vi state affidando ad un professionista.

“…Ma sì, il tempo, e gli amici, mi basteranno.”

Diciamoci la verità, un po’ tutti, anche i più illuminati di noi, all’idea di andare dallo psicologo hanno storto istintivamente il naso, o comunque ci hanno pensato dieci volte prima di digitare il suo numero di telefono. Magari alcuni arrivano, a metà tra la curiosità e lo scetticismo, a consultarne uno, promettendosi però di fermarsi al primo colloquio gratuito, per arretrare (o meno) al momento di cominciare davvero un percorso.

Sono i più coraggiosi, e per fortuna sono più di quanto si pensi, ad accettare di lasciarsi andare, e fare quel salto che un po’ destabilizza, decidendo di affidarsi, di lasciarsi accompagnare per un pezzettino, perché avere bisogno di aiuto non significa essere matti. Certo, è anche vero che trovare una persona che ci trasmetta tale fiducia non è scontato, perciò cercate bene!

Ho scritto “coraggiosi”, sì, perché si tratta di una scelta che implica coraggio, in quanto mettere mano alle proprie più o meno piccole ferite può bruciare, ma d’altra parte lasciarle a sé stesse non assicura certo un destino salubre.

I cambiamenti spaventano sempre, muoversi nell’ordine delle cose conosciute, delle certezze che ci hanno finora costituito e attorno alle quali abbiamo messo in piedi la nostra “comfort zone” è la tendenza più istintiva, la più semplice, ma purtroppo non la più sana.

La vita è movimento, tutto il nostro corpo è fatto di cellule che si rigenerano continuamente, se glielo impedissimo, moriremmo. Ebbene, la psiche, in quanto non veramente separata dal corpo, risponde alle stesse leggi: ai cambiamenti bisogna reagire adattandosi, trovando sempre nuovi equilibri.

Può essere vero che un’ora di chiacchiere con quell’amica ci ha risollevato da quel dubbio sul lavoro, dai litigi con i genitori, oppure col tempo siamo riusciti a dimenticare l‘uomo, o la donna, che ci ha fatto soffrire.

Eppure talvolta, per qualcuno, tali espedienti non bastano: l’amica/o ha la sua vita e non può certo ascoltarci sempre, o comunque, di fatto, ci dice solo ciò che ci fa più piacere sentirci dire; il tempo passa e se abbiamo dimenticato un amore doloroso, poi siamo ricascati in un’altra storia con le stesse conseguenze; sono mesi che dormiamo poco e male, oppure i mal di testa o i fastidi alla pancia ci accompagnano; la scuola o il lavoro stanno diventando il nostro incubo, o la suocera ci rovina l’esistenza.

Se i problemi persistono nel tempo, non sarebbe male chiedersi “cosa ci sto mettendo di mio?”, piuttosto che accomodarsi nella giustificazione che il mondo è cattivo.

Si tratta di cammini in cui entrano in gioco delle responsabilità: quella del terapeuta che ha deciso per mestiere di occuparsi del dolore delle altre persone, e dovrebbe farlo con la maggior consapevolezza possibile. Ma quella che più conta è la parte del paziente, perché decidere di prendersi cura della propria salute psichica è un atto di responsabilità, innanzitutto verso la propria vita e poi verso chi ci sta accanto.

Dunque, non c’è nulla di cui vergognarsi ad andare dallo psicologo, e anzi, sappiate pure che un buon psicoterapeuta è colui che a sua volta ha messo mano alla propria vita rivolgendosi durante gli anni della sua formazione ad un collega più esperto.

E vi dirò di più, lo psicologo non è un mago che legge i pensieri, non è un semidio al di sopra dell’umanità, non è una sibilla che si esprime in modo ambiguo o indecifrabile. È innanzitutto un altro essere umano, e poi un professionista che, per mezzo del proprio metodo di lavoro, si mette in relazione con chi arriva da lui, per aiutarlo a trovare quella che è la sua strada. Lo psicoterapeuta aiuta il paziente a “cucire” il suo proprio abito, se il precedente è diventato scomodo: ciò significa che non offre soluzioni preconfezionate. E probabilmente è questo che scoraggia un po’, abituati come siamo oggigiorno ai prêt-à-porter, al tutto subito, all’abolizione dei tempi morti, al rifiuto della noia… Ma a quale costo?

Forse che in un mondo sempre più complesso e che sembra andare alla deriva, la prima cosa che possiamo fare è interrogarci su di noi stessi?

Ebbene, che allora questo settembre sia il momento anche per un buon proposito come questo!

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